https://open.spotify.com/episode/6vn49IMCJMGX5MVGm7848N L’ospite che avremo il piacere di intervistare oggi è l’imprenditore Guido Polito, Amministratore Delegato…
Il caso De Agostini degli anni 1990-2005 – Intervista a Gianfilippo Cuneo fondatore della Bain, Cuneo & Associati
Gianfilippo Cuneo è fra i più noti uomini d’affari e imprenditori italiani. Nella sua carriera ha avviato e fatto crescere numerose aziende di successo. È stato prima associato all’ufficio di New York e poi all’ufficio italiano di McKinsey & Co per poi divenirne Amministratore Delegato. Nel 1989 poi ha fondato Bain-Cuneo e Associati, una delle più grandi aziende di consulenza in Italia. Nei primi anni 90 ha co-fondato Investitori Associati, una delle maggiori società di private equity in Italia. E nel 2004 ha lanciato Synergo SGR società di gestione di fondi di private equity, di cui è stato Presidente o Amministratore Delegato fino al 2019.
Durante l’intervista, Cuneo ci racconterà di alcuni tra i suoi più importanti successi, ripercorrendo le scelte strategiche vincenti messe in atto volta per volta, soprattutto in settori in veloce cambiamento.
In particolare il caso De Agostini, indagando in particolare l’accadimento della bolla internet, con cui il Gruppo si è dovuto confrontare; bolle, che per Cuneo, sono ormai la normalità, ma se gestite da team con menti abili e competenti nei propri settori, potrebbero risultare anche come carte vincenti.
Emergerà, nel corso dell’intervista, che il cambiamento è alla base dei mercati e delle economie, da sempre, ma ultimamente i cambiamenti si sono rivelati più radicali e repentini, perciò sarà importante capire come navigare in un mare in tempesta senza affondare.
L’Italia, diversamente da quel che se ne dica, offre adeguate opportunità imprenditoriali e finanziarie ed è possibile metterle a frutto, purché si abbiano davvero talento e spiccate qualità imprenditoriali.
In tutta la chiacchierata si parla dell’andamento dei vari mercati e verranno dati dei suggerimenti utili per tutti coloro che vogliono gestire un’impresa e operazioni di successo, chiarendo che non tutte possono essere tali.
Infine, come da tradizione consolidata, chiuderemo la nostra intervista con i tre bullet point che Cuneo “regalerà” ai nostri ascoltatori.
#consulenza, #cuneo, #deagostini, #impresa, #management, #strategie
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Buongiorno a tutti gli ascoltatori e benvenuti al podcast Inside Finance. Ho il piacere oggi di intervistare Gianfilippo Cuneo, fra i più noti uomini d’affari e imprenditori italiani. Gianfilippo ha abbiato e fatto crescere numerose aziende di successo. Nei primi anni settanta è stato associato all’ufficio italiano di McKinsey per poi divenirne amministratore delegato.
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Nel 1989 ha fondato Bain, Cuneo e Associati che nel tempo è diventata una delle più grandi aziende di consulenza strategica e organizzativa in Italia. Nei primi anni 90 ha co-fondato Investitori Associati, una delle maggiori società di private equity in Italia che ha realizzato alcuni deal di grande successo tra cui Panini, Pagine Gialle e L’Automatica.
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Nel 2004 ha fondato Sinergo SGR, società di gestione del fondo Sinergia con imprenditori, che ha diretto fino al 2019. Attualmente si occupa di investimenti con la formula del club deal. Gianfilippo ha anche scritto numerosi libri, tra i quali Il successo degli altri e, così parlò Warren Buffett, lezioni per investire in Italia, nonché articoli di taglio economico manageriale prevalentemente pubblicati da 24 ore.
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affronteriamo oggi il tema della consulenza strategica, il caso di Agostini negli anni 1990-2005 e la sua utilità per la situazione attuale e per il prossimo futuro. Benvenuto quindi a Gianfilippo Cuneo e grazie della tua partecipazione. Iniziamo con la prima domanda. Perché con una così vasta esperienza hai scelto di raccontare il caso di Agostini e quali le differenze con le tue altre esperienze?
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e raramente uno si espone a raccontare i casi che non hanno funzionato, come inevitabilmente ce ne sono. Secondo è un caso che si estende su un periodo abbastanza lungo, circa 15 anni, che vede una prima fase di rapporto con questo straordinario…
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imprenditore che è Marco Drago, la terza generazione della famiglia, che era l’amministratore della società, che prima diventa un rapporto di consulenza, nasce come rapporto di consulenza, si crea della fiducia e da questo con passo alla volta si prova anche a fare investimenti insieme in ottica di private equity, quando negli anni 90 il private equity non era ancora così onnipresente e sdoganato.
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E poi naturalmente vedendo tanti aspetti di change management che ci sono state all’interno delle operazioni fatte, in particolare della pagina gialle, è anche quello di testo per tutto quello che bisogna fare per cambiare la pelle di un’azienda quando pelle vecchia sai che non va da nessuna parte e la pelle nuova è tutta da costruire. Questa è un po’ la ragione della scelta.
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Grazie Gianfilippo, prima di entrare nel caso in particolare ti volevo chiedere in generale da tuo parere qual è il ruolo del consulente e quali sono i vantaggi e per quali stakeholder in operazioni di questo tipo? Il ruolo del consulente naturalmente è cambiato negli anni, se noi andiamo indietro agli anni
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che è essenzialmente un ruolo di agente di trasferimento del know-how manageriale delle aziende americane alle aziende europee. Dopodiché è voluto in particolare in Italia in un ruolo che era più focalizzato su cosa bisogna fare nelle singole aziende nel contesto culturale del paese per rendere le aziende più competitive, più performanti. Poi nel tempo…
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in alcuni casi, come nel mio caso, c’è stata anche l’evoluzione verso un ruolo di partnership tra consulente e cliente e poi in alcuni casi ancora è evoluto questo ruolo verso partnership negli investimenti, cioè se tu sei così bravo a dire le cose che devono essere fatte allora se ti metti i tuoi soldi e lo facciamo insieme. Quindi nel caso di Agostini il ruolo del consulente è stato quello classico inizialmente. Mi veniva chiesto…
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di riflettere su, aiutare a riflettere, perché solamente è sempre in sintonia con l’azionista o gli azionisti o il management, riflettere su cosa c’era che funzionava ma che però
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dalla situazione economica finanziaria mondiale e cosa invece era desiderabile fare per saltare sui carri futuri. Quindi questo inizialmente è stata una cosa che diciamo di tipo classica, parliamo quindi degli anni 90, io avevo conosciuto Marco Drago quando ero nel board del gruppo
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una persona invitata a tutte le riunioni del board internazionale del gruppo Teckin, ci eravamo conosciuti e a un certo momento Marco Drago mi aveva chiesto di cominciare a lavorare in azienda per districare alcuni nodi, i nodi di troppe presenze in business che non avevano un futuro come le artigrafiche, le dispense, cose che inevitabilmente ogni
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del passato e poi quando vi aiutavo anche in un caso particolare della vendita di tutta la parte artigrafica, quindi le rotative che erano un business supersindacalizzato, altissimi costi fissi, che consumava capitale e che non aveva grandi prospettive. Da questo è poi stata abbastanza naturale quando c’è stata l’operazione, è venuta sul mercato
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Rappanini faceva delle cose collezionabili, così come in un certo senso le dispense della diagosina. È vero che poi erano le figurine, si vendono ai bambini e quindi il business poi ha la sua particolarità, però c’erano delle analogie. Io avevo avuto l’occasione di conoscere Rappanini da consulente per un gruppo, un ripraio ad equity che voleva comprarlo e che poi si era ritirato, che avevo chiesto a questo gruppo
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convenientemente all’attentativo di acquisto della Panini che era finita nel calderone del gruppo Maxwell che era praticamente stato fallimentare, per cui a Londra c’è stata un’asta dove Marco Drago ed io, Antonio Tazzart, gli investitori associati, siamo andati e abbiamo vinto questa asta semplicemente pagando un po’ di più degli altri, abbiamo pagato un po’ di più degli altri perché avevamo capito più degli altri.
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cosa si poteva fare? Ritornare ai vecchi fasti. Ci sono voluti due anni per ritornare ai vecchi fasti e quindi abbiamo poi potuto vendere la Panini, che a questo punto valeva tanto che non valeva più la pena di rimetterla nel mondo di Agostini. Tutti eravamo d’accordo nel vendere, avendo guadagnato venti volte quello che avevamo investito. E’ chiaro che era…
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l’aspettativa di guadagnare altri 20 volte dopo, quindi preferiamo passare all’incasso. Tra l’altro questa è stata una cosa unica nella mia vita, perché al momento di fare la contro-oferta, di rifiutare l’oferta che c’era venuta dal gruppo multinazionale americano, quello che faceva i comic books dove c’è Spiderman e tutta quella gente lì.
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Invece di mandare la risposta, no grazie la vostra offerta è un po’ troppo bassa, noi vorremmo un po’ di più, su un foglio di carta, allora non c’era internet in modo… l’ho fatta disegnandola su un foglio a fumetti, così come fosse proprio Spider-Man. Ed è stato veramente molto divertente, e il fatto di mandare in America…
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per posta perché naturalmente non c’era la possibilità di mandare per fax una cosa del genere, una cosa così leggera, a dire guarda abbiamo capito che puoi pagare di più, quindi hanno pagato 50 milioni di più, un divertimento è ben pagato. Quindi questo è stata una cosa importante e dove penso che…
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si è capito fino in fondo, sia Marco Drago, ma anche i suoi parenti che erano tutti presenti nel board della DiAgostini e anche nei vari gang operativi, hanno capito che una capacità di visione strategica, una capacità di scegliere le persone giuste, in Alpannini abbiamo scelto la persona giusta per fare l’amministratore delegato.
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Aldo Sallustro che ancora oggi è lì e è diventato proprietario della Panini dopo vent’anni. Intervenire sul modo come vengono fatte le cose, quindi migliorare la gestione operativa, tutto questo ha un impatto sul valore che può essere esponenziale e quindi è stato possibile anche ragionare sul gruppo di Agostini sul valore di crescere per acquisizione, anche l’acquisizione non necessariamente nello stesso business.
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e quello che ha portato poi dopo due anni all’acquisizione dell’Automatica, però nel frattempo era venuta l’opportunità di acquistare le pagine gialle. Ricordo che fino agli anni 90 l’Italia doveva entrare a pieno titolo nel…
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l’Unione monetaria europea era passata dal discorso dello SME con Alti e Bassi, però a un certo momento o entri o non entri e per entrare l’Italia doveva dare la dimostrazione di non continuare con le vecchie logiche di partecipazioni statali e di iniziare anche un percorso di privatizzazione. Allora questo noi lo avevamo capito nove mesi prima.
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e quindi abbiamo potuto cominciare a studiare a tavolino, questo è il grosso vantaggio di avere la sinergia tra la società di consulenza e la società di investimenti, ci sono anche degli svantaggi naturalmente, e abbiamo potuto cominciare senza nessun cliente a studiare che cosa l’Iri o l’Eni avrebbero potuto vendere, e uno degli oggetti che potevano vendere, perché era un po’ distaccato e non era grande centro di potere, insomma, era le pagine gialle.
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Quindi ho potuto muovermi con i miei colleghi per studiare a fondo il business delle pagine gialle prima che scattasse l’Astra. Quando scatta l’Astra naturalmente ci sono dei vincoli di riservatezza, di altre cose ed era un’Astra estremamente complicata. C’erano nove contratti che legavano le pagine gialle alla telecom, quindi per capire queste cose bisogna essere proprio degli insider.
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e noi l’avevamo capito prima che partisse l’Aste, quindi abbiamo organizzato un’accordata di otto investitori finanziari, perché comunque il boccone era molto grande, uno di questi era D’Agostini, ma c’erano Bain Capital, altri operatori, BC Partner, CVC, e quindi alla fine abbiamo vinto quest’Asta e anche lì di nuovo il connubio fra capire cosa devi fare.
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la persona che ci mette a gestire tutto, c’era Lorenzo Peliccioli disponibile in quel momento perché usciva dall’esperienza della costa a Crocere, io lo conoscevo bene, avevo preso insieme e quindi gli avevo proposto di venire a fare l’amministratore delegato del Pagine Gialle e quindi lui ha potuto dedicare del tempo a fare il business plan prima di fare l’offerta finale.
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rendendo l’offerta molto credibile, nel senso umano credibile, che dicendo no ragazzi io sono disponibile a andarlo a fare perché si può fare. Poi naturalmente ci sono anche degli elementi di fortuna, per carità. La nostra attesa era di guadagnare tre volte quello che avevamo investito, semplicemente migliorando i margini delle pagine gialle. Poi naturalmente è scoppiato la bolla internet e Pelicioli è stato particolarmente bravo a posizionare le pagine gialle come…
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il nuovo soggetto internet e quindi il valore delle pagine gialle non era più il moltiplicatore dell’ebitda, ha moltiplicato 7, 8, 9 ma ha moltiplicato 30 e quindi a un certo momento è stata stata l’operazione di vendita delle pagine gialle e quindi la DiAgostini ha portato a casa tutti gli altri, naturalmente, una quantità di soldi assolutamente ragguardevole.
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enormemente superiori a quelli che si potevano guadagnare in 50 anni di onorevole vita facendo dispense e riviste e libri e cose del genere. E quindi è stato relativamente facile poi replicare questa operazione qualche anno dopo acquistandola all’Automatica che era una specie di consorzio.
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strano di banche, di investitori, di imprenditori, dove tutti giocavano a scaricare le loro inefficienze sulla azienda, invece di rendere l’azienda vendibile e in and mean. Quindi anche lì c’è stata la possibilità di fare un blitz, è stata un’operazione molto rapida e quando fai questa operazione molto rapida corri dei rischi maggiori, ma noi li correvamo sapendo che…
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deviamo di sapere quali erano questi rischi, i nostri concorrenti erano terrorizzati da fare un’operazione in cui non c’era tempo per fare un giudilice di tipo classico, quindi alla fine è stata comprata l’automatica, è stato messo lì un amministratore legato, Rosario Bifulco.
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estremamente bravo anche se non conosceva il business, ma è stato capacissimo di ottenere tutti i risultati operativi. Poi l’automatica nella quale gli investitori finanziari, investitori associati in particolare, sono usciti ad un certo momento, Di Agostina ha deciso di continuare, di considerare un po’ il suo core business del futuro e da lì poi sono andati avanti per conto loro, facendo altre acquisizioni, in particolare la grossa acquisizione a G-Tech negli Stati Uniti.
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e oggi sono il più grande operatore mondiale nel mondo dei giochi. Quindi parti dalle dispense e finisce nei giochi. Oggi i giochi soffrono un pochettino per tutti questi discorsi di lockdown e cose del genere, però siccome è un modo per gli stati di tirare al su…
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imposte senza fare incavolare la gente, è un business che continuerà a crescere in futuro e loro sono leader mondiale su questo, non so, operano in 50 paesi, quindi hanno un management competente, quindi andranno avanti su quello. Poi se vogliamo continuare, lì dentro ci sono anche tante altre questioni, sembra proprio un libro aperto di manager, la successione manageriale, l’inserimento di manager nell’azienda, la …
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avvietramento dei membri della famiglia, dai board, dalle esposizioni operative nei board e poi a fare semplicemente gli azionisti. Ci sono state anche delle scissioni interne per disaccordi sulla strada da seguire. Ci sono tutte le cose classiche, però almeno il risultato finale mi sembra che sia… non si può mai dire, ma non vorrei portare
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assolutamente un caso estremamente positivo.
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Grazie Gianfilippo, ma la mia curiosità era, abbiamo visto insieme che il caso di Agostini di quegli anni vede molti spunti riflessione perché spaziamo dall’ambito editoriale al finanziario alle scelte strategiche in settori in veloce cambiamento, visto che il periodo che stiamo analizzando è dal 90 a 2005 prende in pieno la crisi derivante dalla bolla internet eccetera, ci vuoi raccontare qualche aspetto specifico di
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quel accadimento particolare della bolla internet e poi se pensi ci siano degli spunti riflessione che possono vedere delle analogie con il contesto attuale. Quando tu sei dentro a un’operazione, a un mercato in effervescenza, è difficile non giocare, sai bene che c’è una bolla?
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sai che una bolla è destinata a scoppiare, però fin tanto che c’è i mercati che crescono, il valore delle aziende che cresce, cose del genere, sei tentato di continuare. Mi ricordo sempre una frase di Warren Buffett che dice quando ci sono queste bolle, ci sono gli speculatori che giocano, sono come gli invitati alla festa di Cenarentola, tutti sanno che a mezzanotte salta tutto, però fin tanto c’è la musica.
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si divertono, vogliono ballare, quello che non sanno è che l’orologio non ha le lancette, non sai quando il momento è. Quindi nel caso delle pagine gialle non è che siamo stati consci che avevamo in mano una candela che si stava consumando, sì in un certo senso c’era un valore delle azioni delle pagine gialle che avevamo l’impressione che fosse inflazionato.
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infatti veniva utilizzato per comprare altre aziende, ti do le mia azioni, quote, tu mi dai la tua azienda, però compravi le altre aziende anche dei valori inflazionati. Poi c’è stata la fortunata circostanza che anche la telecom era stata oggetta dell’operazione fatta da Colanino e gli altri che hanno comprato la telecom a debito sostanzialmente, all’interno c’era delle attività di tipo internet, anche quelle…
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in teoria valevano tanto ma non avevano nessun asset e quindi sono loro che hanno deciso di dare consistenza a queste attività, la Sieta aveva 600 agenti in giro per l’Italia, e quindi sono venuti ad accettare un valore della società che per noi era più che sufficiente, essendo n volte double digit quello che è stato pagato e quindi ci hanno aiutato a uscire in tempo.
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dall’operazione rimanendo poi in parte infischiati dopo quando la bolla è. Da questa operazione si può anche fare una riflessione più generale, cioè le bolle non sono ormai dei fatti eccezionali, sono dei fatti normali, cioè viviamo da bolla in bolla. La normalità in un certo senso non c’è, quindi è importante che nel modo di pensare delle aziende si venga introdotto un modo di pensare da trader.
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Il trader deve guadagnare quando il mercato va su e quando il mercato va su. Quindi se tu pensi che domani, e da quali ti devi attrezzare per capire bene quando ci saranno inversione tendenze, nessuno riesce mai a beccare i punti di minima e i punti di massima però ci sono tutti dei segnali che a un certo momento dicono guarda, qua siamo vicino al punto di massima e è meglio saltare fuori. Quindi a seconda che sei vicino al punto di massima, al punto di minima.
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devi avere un comportamento diametralmente opposto e quindi non è più la pianificazione a lungo termine, cinque anni, noi saremo in questo business per sempre, devi essere molto più possibilisti, freddo, ma soprattutto devi investire in risorse umane, sistemi che ti permettono di capire il mondo con l’occhio delle bolle, non con l’occhio della pianificazione a lungo termine. Quindi c’è sempre qualcosa da imparare, ma quello che ho imparato in quel momento era soprattutto quello, la bolla come…
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un fatto normale.
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Sì, diciamo Gianfilippo che giustamente dicevi non si può anticipare quale sarà il minimo, il massimo del mercato e l’imprenditore deve prepararsi alle bolle. Però ecco, mi chiedo, non credi comunque sia difficile preventivarle? Perché facciamo un esempio, la crisi dei debiti sovrani era difficile da intuire. Adesso la crisi derivante dall’emergenza Covid, credo insomma…
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siano accadimenti cosiddetti cigni neri che praticamente sono difficili da preventivare. Mi chiedo solo se magari si può tener conto a tuo parere che comunque l’economia è ciclica e dopo un periodo di espansione è normale che il mercato si riassesti creando una bolla che magari è completamente esogena ma avviene con frequenza abbastanza costante. Se guardiamo la storia degli ultimi anni abbiamo il 2002, il 2008, il 2011.
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Adesso il 2020, nel senso c’è una ciclicità che forse può aiutare, però ecco non credo sia all’analisi del trend, però questo mi chiedo tu che cosa ne pensi. Adesso io escluderei il ragionamento sui cigni neri perché chiaramente non essendo prevedibili nessuno si può nemmeno attrezzare per vederli. Ci sono però in certi business certi ragionamenti.
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che si possono fare partendo dall’esperienza sulla rapidità dell’evoluzione di cerchi e cambiamenti tecnologici. Se voi pensate a quanto rapidamente la fotografia su rullino fotografico è stata soppiantata dal digitale, ha ammazzato completamente un’industria nel giro di cinque anni. Se tu sei la Kodak o la Ferrania o l’azionista della Kodak o
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sai che quel che costa niente prima o poi vincerà su quel che costa tanto, poi ci sono tutte le teorie sulle curve A-S dell’innovazione tecnologica. Quindi in certi casi tutti sono prevedibili a posteriori, però alcune cose non sono proprio dei cigni neri perché ci sono tanti segnali che dimenticano l’evoluzione e quindi è doveroso per chi è un investitore o per chi è un manager.
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comprare delle opzioni per minimizzare i rischi. Però quello che è diverso oggi, rispetto a vent’anni fa, in questo corso dei cicli economici, è che nei cicli economici che una volta il mercato va giù del 20%, le aziende valgono 20% in meno. Oggi, quando vai su o quando vai giù, c’è un effetto moltiplicatore pazzesco, per cui dopo l’inversione di tendenza siamo il…
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l’indice standard and poor 500 in cominci a guadagnare a 30%, quindi c’è un’amplificazione enorme degli effetti in salita e in discesa e quindi uno deve dedicare più tempo a capirli e a cavalcare in un senso o nell’altro.
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Spero sarei d’accordo che probabilmente questa maggiore violenza sia nella discesa che anche nel recupero sia derivante anche dall’ingente liquidità che c’è sui mercati, dalla leva finanziaria, anche dagli algoritmi di trading che ovviamente rendono più difficoltoso, insomma, intervenire in maniera sistematica per evitare danni insomma ingenti o anche magari per cogliere
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Credo che la chiave di tutto, spero sarei d’accordo con me, è la diversificazione. Nel senso come il caso di Agostini è riuscito a diversificare il business, probabilmente è il fatto di puntare su diversi cavalli di battaglia che in qualche modo aumenta le probabilità di cogliere delle opportunità e magari di farsi meno male in caso di scesa di uno specifico mercato.
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mai abbastanza imparata e mai abbastanza predicata. Questo però a livello di asset manager, di famiglia, di investitori, quando tu sei un’azienda che fa automobili, quello fai. Non è che puoi diversificare facendo biciclette elettriche, i capitali. Gli investimenti in gioco sono talmente enormi che non c’è nessun modo che tu possa diversificare. Anche la Kodak, quando
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che c’era il digitale che stava minacciando le pellicole, ha fatto enormi investimenti nel mondo digitale però erano peanuts rispetto agli investimenti che faceva il mondo e quindi poi non ha perduto di evitare il fallimento di questa onorevole e grandissima società, leader mondiale assoluta in una cosa che non era più necessaria. Quindi la diversificazione
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dei meriti, quando è una diversificazione molto laterale, molto sinergica al business di base, quando è veramente un salto in un business diverso, deve essere lasciata fare agli azionisti. Nel caso di Agostini, azionisti e management coincidono, quindi era più logico, ma diciamo nel caso delle aziende la teoria manageriale dice
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date i soldi alle azioni e gli esistenti ci pensano loro a fare la diversificazione, non fate la voi nell’azienda, a meno che non è appunto sinersi.
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Poi sulla diversificazione ricordo un aforisma che mi pare sia di Warren Buffett, su cui poi hai scritto anche un libro, che diceva la diversificazione per chi non sa dove investire. Effettivamente mi pare la sua strategia è di puntare in investimenti lungotermine, molto focalizzati. Non conosco bene ma immagino che questa sia un po’ la filosofia di base. La filosofia di Buffett è questa, cioè io investo in tante aziende, dalla Coca Cola,
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che hanno genero liquidità, perché generando liquidità nel momento in cui ci sono più capaci di altri di prendere questi soldi che loro ci hanno, e mettere il lavoro a un tasso di rendimento superiore a quello del costo del capitale che comunque è nullo. Quindi lui incoraggia sempre le aziende a investire se sanno dove investire, se non sanno dove investire, mandate i soldi a casa.
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agli azionisti e poi ci penso agli azionisti. Poi lui in realtà è una specie di moderno conglomerato, fino a una decina di anni fa questa strategia aveva dimostrato di essere vincente, da dieci anni a questa parte non fa molto meglio dell’indice di borsa perché è talmente grande che non è che può andare a diversificare in modo facile recentemente.
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permette da lavoro 5 miliardi di dollari che comunque sono un decimo di quello che c’è disponibile, è andata a prendere delle quote significative delle trading company giapponesi, non una, tutta. Però alla fine o dimostra di saper fare, vederci meglio degli altri e lo dimostrerà fra 5 anni o cosa del genere, o altrimenti un conglomerato non ha ragione di esistere.
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Lo definirei un good quality problem, se sei d’accordo, nel senso che talmente importanti da dover diversificare necessariamente. Insomma c’era qualche testo che leggevo che diceva che tra Warren Buffett e un mendicante entrambi hanno problemi di natura economica, ma quello di Buffett è di qualità migliore. Non so se sei d’accordo, è simpatico insomma.
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Ti volevo chiedere, ritornando al caso di Agostini, a tuo parere quali sono gli insegnamenti di questa vicenda per gli imprenditori, i manage, le medie aziende italiane, gli investitori, i consulenti? C’è qualcosa che potremmo trarre da questa esperienza che è di utilità per le varie categorie citate? Prima di tutto bisogna partire dal prodotto che ci sia un leader molto capace.
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De’Gostini, questo è Marco Drago, ed è stato quello che ha generato più valore, ma in modo straordinario, delle tre generazioni precedenti. Perché un leader conosciuto, capace, non ha ombra se chiama delle persone più brave di lui a fare delle cose magari in pezzettini del business che lui sa fare meno bene. Invece le aziende dove tutti i costi, diciamo il leader
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a capo dell’azienda, il figlio o la figlia che non sono così bravi come lui, quello è l’inizio di un declino perché è una cosa innaturale, parliamo di aziende di una certa dimensione naturalmente, non parliamo di piccole aziendine dove la successione in famiglia è un fatto obbligato perché non puoi permetterti di assumere un manager di grande valore. Ma c’è sempre qualcuno più bravo di noi in giro, quindi perché non portasselo dentro?
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per fare colimando gli interessi in modo che lui guadagna in funzione di quello che ti aumenta. Quindi la prima cosa è dire se tu guardandoti allo specchio capisci che non sei quel leader di grande qualità devi trovare qualcuno che invece lo possa essere sostituendolo nei ruoli di tipo operativo e tu fai l’azionista naturalmente, non devi per forza…
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far vedere che sei bravo a fare l’amministratore delegato. La seconda cosa è che bisogna essere sempre un po’ strabici. Da una parte tu hai un business di base che te lo devi curare, devi fare al meglio, però molti business di base vanno a sbattere contro un muro, nel senso che non hanno più capacità di evoluzione tecnologica, di mercato e così via, quindi
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forse è meglio uscire dal business di base e puntare su un business laterale, però bisogna saperlo fare e questo per saperlo fare devi farlo fare a chi lo sa fare, naturalmente chi lo sa fare può essere incentivato, controllato, bisogna saperlo riconoscere, quindi è un lavoro difficile ma non è un lavoro che deve essere fatto con ragionamenti banali, poi se lo sai fare fallo, se no devi farlo fare a qualche un altro che lo sa fare.
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Il mondo internazionale, noi continuamente siamo globalizzati, quindi andiamo a fare gli investimenti nel proprio Paese. Anche gli investimenti in borsa, in Giappone, in Italia, Germania, gli Stati Uniti, gli investitori in borsa privilegiano le aziende del proprio Paese. Perché sono lì, li vedi, ma non ha senso, quando tu investi puoi spaziare in tutto il mondo.
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investire nell’immobiliare perché non farlo in Argentina piuttosto che in California piuttosto che da un’altra parte, facendolo fare da chi lo sa fare, chi può mettere a confronto veramente l’Argentina con la California. Quindi l’altro ruolo importantissimo in questo momento che si può imparare da Di Agostini è che il fatto di aver avuto manager internazionali, aver avuto presenza storica in Francia e in Spagna più…
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in tanti altri paesi. Adesso essere ancorati negli Stati Uniti, perché fondamentalmente è diventata un’azienda americana, aumenta la capacità di guardare il mondo da un punto centrale e di essere più indipendente rispetto ai vari paesi e quindi quando tu vedi delle nuvole che stanno arrivando scappi e vai da un’altra parte e non stai lì a prendere la tempesta quando arriva.
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Lo dico in particolare perché siamo nelle aziende italiane, per i prossimi anni ci saranno problemi di tutti i tipi, soprattutto per quelle aziende che sono molto legate al mercato domestico. Un mercato domestico di un paese in declino non può che diventare asfittico. Quando le cose vanno in discesa, in senso negativo, tutto diventa difficile. E quindi forse è meglio.
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cercare di disinvestire da paesi in declino e cercare di investire in paesi in crescita e ce ne sono, però naturalmente bisogna saperlo fare.
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Beh, sicuramente è un tema complesso e tra poco ti chiederò anche magari qualche spunto per i policy makers. Nel frattempo, Gianfilippo, hai parlato insomma di ricambio generazionale e mi sembra giusto ricordare anche agli ascoltatori i due bei libri che mi hai regalato, che sono Lettere al futuro e Lettere dal futuro, che sono un format per gli ascoltatori, è un format innovativo che è quello delle lettere generazionali, non so se le posso chiamare così, Gianfilippo.
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Ti volevo chiedere, in quella occasione dove hai analizzato vari casi di ricambio generazionale, vedi qualche analogia con il caso di Agostini, qualcosa che ci puoi raccontare di collegamento tra i due temi che hai seguito in maniera diversa? Il primo libro era Lettre al futuro, il fondatore dell’azienda che scrive una lettera ai figli che rimanga come una specie di testamento per il futuro.
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non c’era questo amore sviscerato per l’azienda. In Italia l’azienda è un patrimonio di famiglia, è la villa del nonno e nessuno degli imprenditori aveva nemmeno non tramente pensato di potersi separare dall’azienda. Si leggeva in filigrana la richiesta di mantenere l’azienda in famiglia per sempre, che potrebbe essere in alcuni casi la cosa sbagliata finanziariamente da fare.
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nessun imprenditore che aveva fatto questa dichiarazione ne ho creato uno finto, un imprenditore che non esisteva, il quale invece ha detto ragazzi, io vendo l’azienda, vi lascio un pacco di soldi così voi non avete nessun problema e non vi dovete preoccupare di rovinarmi l’azienda. Il secondo libro invece era dei figli che scrivevano una lettera virtuale
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al nonno fondatore o al padre, dicendo che si, abbiamo imparato tanto da te, però oggi le cose sono diverse, dobbiamo fare queste cose in più, altre cose sono uguali, eccetera. Allora nel confronto del caso con Di Agostini, cosa c’è di simile differenza? Beh, ci sono certi casi in cui il figlio o la figlia è proprio brava e allora questo è il caso di Agostini, quindi sul figlio molto bravo, molto leader, molto capace di…
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utilizzare persone ancora più competenti di lui e così via, si può costruire una storia come quella di Agostini. Ci sono altri casi invece dove il figlio, che non fosse con quel nome e con quel studio spada, non sarebbe nemmeno il ragioniere in uno studio professionale, si vanta del fatto di essere proprietario dell’azienda e si nomina amministratore delegato. Ecco, questa è una cosa che Agostini non fa. E questo è un errore enorme.
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e purtroppo lo vediamo sempre più spesso. Per cui io sono sempre critico anche dell’utilizzo dei nomi. Quando si dice giovane industriali, ma che sono i giovani industriali? Sono i giovani figli di papà che non sono industriali. Se sono industriali lo vedremo, ma non chiamiamoli giovani industriali.
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Giuffilippo, poi chiederò il tuo importante parere, proprio in finale, che siamo quasi in chiusura, i tuoi consigli per i giovani manager e imprenditori, quindi ci torniamo tra poco. Nel frattempo ti volevo chiedere una cosa di cui sono curioso, ma se dovessi avviare una nuova impresa, sceglieresti l’Italia e per quale motivo? L’Italia ha tante eccellenze, no, dal biomedicale, dalla moda, quindi dove c’è un tessuto
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un distretto, un tessuto di fornitura, di eccellenza, certamente facciamolo dall’Italia, però facciamolo dall’Italia non per vendere gli italiani, per vendere nel mondo. Quando questo tessuto non c’è, quando invece il mercato di riferimento è solo italiano, io tendenzialmente starei alla larga, perché le aziende non devono soltanto funzionare, ma anche devono avere un valore, perché magari un giorno…
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i tuoi figli le vorranno vendere. Se tu sei un’azienda molto radicata in Italia, con business model molto italiano, molto specifico, cosa del genere, forse sarà difficile trovare qualcuno che te la valorizza al massimo. Quindi tendenzialmente è meglio investire avendo un’idea forte, avendo delle capacità, non puoi investire partendo da zero, non sapendo cosa fare. Ma però gli Stati Uniti o Israele o…
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Svezia, sono posti molto più friendly, molto più internazionali, molto meno burocratici, molto più aperti a finanziare le cose nuove, vere, di qualità e quindi potendo io andrei a farlo lì. Anche perché non vorrei sbagliarmi ma gran parte dei marchi di successo italiano nel mondo come brand rappresentativi e di insomma grande prestigio e valore sono tutti brand nati nel momento del boom economico.
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Casi recenti dal 2000 in poi di brand con notorietà internazionale sono molto pochi e forse quel tessuto di cui parlavi c’era è rimasto per chi l’ha potuto cogliere al tempo ma forse oggi è un po’ più debole. Sì, a livello di macro vedo grandi opportunità per fare una nuova Valentino, Prada, però
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fornitura di grande qualità, il mondo toscano, il mondo delle marche intorno a Vicenza, è una cosa veramente di grande qualità, di grande reattività dove tu comunque non vivi soltanto l’Italia, tu un mondo che nasce anche con sub forniture a Louis Vuitton piuttosto che Calvin Klein e così via, quindi sono mondi estremamente tenti a quello che succede nel mondo.
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una reattività, una flessibilità, una qualità e io non credo che nei prossimi 20 anni i cinesi riusciranno a copiarla, perché è proprio una creatività di distretto, una reattività di distretto. Quindi ecco quello però sono aziende nate in Italia, che crescono qua, che hanno trovato il tessuto connettivo positivo in Italia, ma sono aziende chiaramente proiettate nel mondo.
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Ma quel talento di cui parlavi che è difficilmente replicabile, questo è probabilmente il nostro grande asset. A tuo parere ha la possibilità di essere finanziato in modo adeguato in Italia o c’è il problema che grandi talenti hanno difficoltà di accesso al finanziamento, al credito, anche il mercato bursistico, insomma è ancora abbastanza piccolo rispetto ad altri paesi più voluti?
40:26
Ma io credo che non ci sono queste grandi difficoltà per situazioni forti con persone competenti che possono dimostrare di aver già fatto delle operazioni positive, che hanno credibilità. Ecco, certamente le cose labili, basate su intuizioni non dimostrate.
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Prendete il fatto di avere grande e buona volontà, ma poco o più di quello sono difficilmente finanziabili, ma credo che lo sarebbero anche in California.
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Sì, poi ha per tutto il tema sulle start-up che poi magari vedremo in un’altra occasione perché siamo in chiusura. Ti volevo chiedere un paio di cose flash, Gianfilippo. Parlavamo in una chiacchierata precedente di congiuntura attuale, di fase di crisi, ma tu sottolineavi che a tuo parere è proprio un cambiamento epocale che stiamo vivendo.
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Ci puoi dare qualche input su questa tua visione sul cambiamento epocale che possa essere di utilità in base alla tua esperienza? Di utilità? Non lo so, comunque mi sembra evidente che i paesi che in un certo senso erano dietro di noi stanno imparando rapidamente.
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grazie anche alla diffusione delle conoscenze via internet, via i viaggi internazionali, via rapporti di fornitura imparano rapidamente a fare bene quello che noi abbiamo sempre fatto bene, quindi si stanno rosicchiando il sedere partendo dal basso e noi naturalmente a livello di paese dovremmo cercare di andare verso quello che fanno gli altri con maggiore valore aggiunto.
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Germania, Stati Uniti, Giappone e ormai anche la Cina in alcuni segmenti, solo che è molto più difficile perché la leva del basso costo del lavoro, la flessibilità, la mancanza di vincoli sindacali burocratici sono cose facili. Andare a fare concorrenza nella tecnologia
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le persone capaci, i centri di ricerca, i centri di sviluppo e quindi dai tempi più lunghi, i centri di sviluppo che poi naturalmente sei in concorrenza con tanti altri che hanno lo stesso problema e che magari decidono di andarle a mettere dove è più facile. Poi naturalmente più facile nel senso che tu sei vicino a un’università tedesca specializzata in certi settori della…
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della chimica, noi non abbiamo l’equivalente di conoscenza, quindi se dovessi essere in quel settore lì è meglio che vai a mettere la tua aziendina o il tuo laboratorio laggiù, se invece sei in settore dove l’Italia ha dimostrato di essere leader, sono gli altri che devono venire da noi, trovando poi ostacoli di tutti i tipi e quindi questo è purtroppo una nota dolente di cui la gente non si rende conto fino in fondo.
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Grazie Gianfilippo, ma ti volevo chiedere, giusto come flash, hai qualche spunto per i policy makers che avevamo anticipato in precedenza? Non so se c’è qualche esperienza all’estero che possa essere insomma di esempio, di stimolo. No, guarda purtroppo la nostra situazione è che per cambiare in modo significativo un trend negativo.
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Bisogna cambiare tante di quelle cose nella legislazione del lavoro, nella burocrazia, nelle cose difficilissime perché nel momento tu le cambi hai tanti nemici che ti affossano e non c’è una forte leadership politica che duri senza particolari cervellotiche e coalizioni che ti garantisca di dire no si fa così perché poi vedrete i risultati fra cinque anni e quindi non mi misuro.
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anno dopo anno. Certe volte mi sono messo anche con altre persone a fare la lista di quello che necessario fare, diciamo, metti che ci siano 15 azioni da fare, devi farle tutte. Se tu ne fai cinque e poi ti fermi, anche quelle cinque non servono. Quindi purtroppo policy makers possono benissimo andare a copiare come si incentivano gli investimenti, come si danno dei permessi.
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costruire uno stabilimento in Michigan, mi ricordo che un imprenditore italiano è andato lì in 60 giorni, ha visto il governatore dello Stato e gli ha andato addirittura dei finanziamenti in 60 giorni, stretta di mano, fatto. Sì, vai a vederlo, puoi farlo, di proprio non ho molta speranza. Se sei d’accordo forse l’unica soluzione per cambiamenti così profondi è quella
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Non è una bella cosa ma purtroppo è l’unico modo in cui potremmo agire così nel profondo anche con scelte difficili da fare, insomma, digerire alle varie categorie. Ci si arriverà senz’altro perché il problema del debito pubblico fa sì che a un certo momento esploderà e quindi a questo punto nessuno dei politici italiani si troverà col cerino in mano e quindi per forza, per fare digerire tutte le cose negative che bisogna digerire in quel momento.
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si arriverà a qualche situazione commissariale. Però, come i discorsi delle pandemie, se tu le prendi per tempo il sacrificio è minore, se le prendi quando il virus è scappato il sacrificio sarà molto più elevato, inevitabile.
46:40
Mi pare fosse Anthony Robbins uno di questi grandi guru che diceva uccidi il mostro quando è piccolo e quindi è calzante ma credo che renda renda l’idea. Ti voglio chiedere un’ultima cosa fuori tema, Gianfilippo Bencuneo e Associati è il primo caso dove un nome locale è collegato a uno multinazionale che poi è diventato leader di mercato nella consulenza strategica in Italia. Puoi darci un flash su questo?
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questa cosa così particolare credo anche unica? Unica no, perché negli anni 60 c’era stata un’initrativa tra il professor Gennaro e il Boston Consulting Group ed era Gennaro Boston che non ha funzionato perché la cultura era talmente diversa che poi praticamente si è sciolto tutto. Io venendo da McKinsey avevo una cultura da consulente internazionale e quindi non è stato difficile
47:36
Ben, noi italiani molto orientati al rapporto col cliente, all’ sviluppo della comunicazione, Ben molto orientato ai risultati, ma tutti venivamo dalle stesse business school, tutti venivamo dallo stesso training e quindi è stato veramente abbastanza facile. Però potrei raccontare tutta una serie di aneddoti delle difficoltà superate, però noi abbiamo imparato molto.
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dal resto del gruppo Bene e Bene ha imparato molto anche da noi. Forse chiuderei raccontando un aneddoto che io facevo personalmente, tutto il recruiting del business school perché la battaglia della consulenza si vinceva assumendo i migliori e quindi volevo andare io a testimoniare che noi volevamo assumere i migliori e davamo delle migliori opportunità di carriera delle altre solità di consulenza.
48:34
andavo sempre a cena con gli italiani di Sead, di Harvard, di Columbia e così continuavo questo rapporto con loro e una volta in Sead uno dei ragazzi che era a cena mi ha detto Dottor Cuno ma guarda sono veramente molto contento di conoscere perché sa fino adesso non avevo mai conosciuto nessuno il cui nome fosse nel logo della ditta e non fosse anche morto.
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che è una qualità rara, insomma, si è stato assunto poi quel ragazzo. Sì, sì, sì, sì, non me lo ricordo.
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Gianfilippo, giusto mi sembra doveroso un ultimo flash per i tuoi suggerimenti per i giovani manager, imprenditori e consulenti italiani. Primo è fate sempre un primo serie di impegni forti dove imparate molto, quindi non cercate di saltare immediatamente al prete equity, non saltare immediatamente a fare la consulente per conto vostro.
49:40
andate in qualche multinazionale della consulenza, del private equity o anche semplicemente aziende multinazionali come Amazon dove imparerete un sacco di cose e farete anche degli errori che poi vi insegneranno delle cose ma almeno gli errori che fate in casa altri. Quando poi fate sei, sette anni di esperienza potete fare il salto in un’altra realtà.
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e lì è bene che gli errori siano un po’ minori, perché l’umano che va avanti nella carriera gli errori che si fanno diventano sempre più costosi. Quindi io predico pazienza, predico però impegno, dimostrazione a 360 gradi delle proprie qualità, quindi intellettuale, analitiche, umane, leadership, assoluto anche l’impegno in defeso per la propria azienda. E in cambio di tutto questo…
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uno ha l’apprendimento che è la cosa più importante.
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Grazie molto Gianfilippo, nel nostro format usiamo tre bullet point finali, qualcosa che vuoi lasciare come messaggio che rimanga ai nostri ascoltatori dalla nostra chiacchierata e dall’esperienza che ci hai raccontato. Uno, ero appena detto l’apprendimento, noi dobbiamo sempre imparare e la seconda cosa è quando tu sei in azienda il tuo
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obbligo è di lavorare per l’azienda, però se tu lavori per l’azienda e quattro giorni alla settimana e un giorno alla settimana, in termini di tempo di quella lavori per te, va bene lo stesso, no? Quindi non diventare mai talmente obnubilato del lavoro che fai che non guardi cosa succede fuori, quindi dedicare del tempo a…
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capire cosa succede nelle università, cosa succede ai seminari e cose di questo genere. Infine ricordarsi che è vero che ci valutano le persone più senior, ma ci valutano moltissimo le persone con le quali noi lavoriamo che siano pari grado più junior, quindi il giudizio di queste persone conta.
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imparare è una cosa che non solo è doverosa ma ti gioca a favore perché poi quando qualcuno si va a informare su di te non sai da chi si va a informare, magari si va a informare da uno con cui tu hai lavorato e se l’hai aiutato questo tendenzialmente sarà più favorevole che se non hai fatto niente. Tutto torna caro Gianfilippo, io a questo punto non posso che ringraziarti molto.
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del tempo che ci hai dedicato, della tua esperienza che ci hai trasmesso, dell’interessante caso di Di Agostini con tutte le sue sfaccettature e tutti gli insegnamenti che ne possiamo trarre. Quindi ti ringrazio al nome di tutti e a questo punto arrivederci alla prossima puntata. Grazie. Grazie a tutti. Grazie per l’ascolto di questo episodio.